24 maggio 2006

Ispirazione (@WorK n.8)

L'ufficio è un microcosmo pieno di spunti antropologici interessanti.

Col passare del tempo, per esempio, inizi a riconoscere il passo del tuo capo che si avvicina giusto in tempo per chiudere sul pc la finestra in cui ti stai facendo i cavoli tuoi; riesci a capire quando la tua collega sta ricevendo una chiamata del suo ex dai gesti che compie poco prima di rispondere; sai che stai per ricevere un incarico noiosissimo dall'altro responsabile nell'istante esatto in cui lo vedi avvicinarsi con la schiena ricurva in quel modo e lo sguardo sghembo.

Poi ci sono i tic. Il mio capo quando è nervoso è colto da un improvviso e incontrollabile tremolìo della guancia destra. La guancia sfugge al suo controllo e parte a ballare la tarantella senza che lui possa farci niente. Quando è incazzato, invece, gratta la gola. Dà una specie di colpetto secco e stizzito tanto eloquente quanto fastidioso.
In entrambi i casi io cerco di stargli alla larga.

Inevitabilmente vivisezioni i tuoi vicini ed in base alle loro caratteristiche cerchi di immaginarteli "fuori", classificandoli in tipologie di persone.

C'è Lo scagnozzo, ovvero l'altro stagista, che non a caso è ex stagista... Ha un modo di ridere insopportabile. Sorvolando sul fatto che ha una salivazione strana e la chiusura della mandibola irregolare (cioè che sembra non chiudersi mai del tutto) e che quindi durante la masticazione sembra sempre che gli debba tracimare parte del pasto dalla bocca, ha una risata davvero fastidiosa. Per ridere usa la saliva. Un po' come quando in Spagnolo si pronuncia la jota. Una cosa che praticamente io posso aver fatto tra i 5 e i 7 anni della mia vita convinta di risultare più simpatica, ma che poi mia mamma ha iniziato a dirmi ogni sacrosanta volta di smetterla e l'ho smessa. Sua mamma non gliel'ha mai detto di smetterla?!
Ma il vero elemento rivelatore è la camminata. Cammina come se avesse una scopa in culo: rigido, controllato. Castigato, mortificato, castrato. Del resto me l'ha detto lui in periodo di elezioni che si sente vicino al Cardinal Ruini. Poveraccio. Che poi poveraccio un corno... "Segui ed esegui" è il suo motto, a quella specie di sacra sindone apparsa sotto l'ala del suo responsabile è l'icona del suo riscatto dal limbo del precariato. Lui, appena venticinquenne neolaureato...

Qui in azienda il pranzo in mensa è una sorta di rito divinatorio.
L'area manager della GDO a tavola assume le sembianze del Castigatore Mascherato dei ripieni. La sua missione e unica ragione di vita, infatti, diventa scomporre il cibo in particelle elementari. Il suo accanimento si sfoga soprattutto sui dolci: fagottini, crostate e sfogliatine vengono diligentemente sventrate, svuotate del ripieno, tagliuzzate, sminuzzate, parcellizzate e poi sbocconcellate svogliatamente. Ricalcando esattamente le sue analisi spietate sulla struttura dell'azienda la cui conslusione è, immancabilmente, che qui si va avanti solo grazie alle vendite. Che, tra l'altro, è vero.
Il mio capo invece divora un'unica portata in pochi secondi. Il Cecchino dalla guancia tremula resta ritto e composto per l'intera durata del pasto, a volte non parla nemmeno, esprimendo l'essenza suprema della sua natura di animale a sangue freddo. Del resto sono abbastanza convinta che esegua l'intera operazione senza respirare. E come potrebbe emettere suoni articolati?
Il Ragioniere qua di fronte, meglio conosciuto come financial officer, incarna il perfetto stereotipo dell'impiegato. Un fedelissimo esecutore, restìo all'uso della tecnologia, abitudinario, che resta chino sul piatto come nelle immagini in bianco e nero del Dopoguerra. E come queste, che spesso riemergono dalla polvere di una soffitta, pare ricoperto da una leggera patina di bianco opaco. E' polveroso, è di altri tempi.

Ebbene, proprio di questi ho notato la consuetudine di andare in bagno, dopo pranzo, con il giornale sotto il braccio. Essendo una consuetudine che in ambiente domestico condivido, da qualche tempo ho preso pur'io coraggio, ed ho iniziato a percorrere il corridoio non più solo col cellulare in mano, ma anche con qualche rivistina da leggere. Oggi toccava a Vanity Fair (Rolling Stone l'ho finito da un pezzo).
Col bagno dell'ottavo piano ormai ho sviluppato un rapporto direi viscerale. In particolare il Cesso di Destra, che mi ha vista aggiustarmi il trucco tutti i giorni, parlare al telefono di tutto di più, accasciarmi sulla tazza per i postumi di qualche serata alcolica, ricavarmi la posizione perfetta sul lavandino per recuperare 5 minuti di sonno qua e là. E vogliamo ricordare la volta che mi sono dovuta annodare il perizoma esploso?
Se non chè oggi, mentre ero in una delle manifestazioni più intense e liberatorie del mio idillio mistico con il Cesso di Destra, comodamente appollaiata sulla carta velina "salvatazza" e rapita dai dettagli sull'imbottitura di gommapiuma del culo di Penelope Cruz nell'ultimo film di Almodòvar, mi si è spalancata la porta e cosparso di luce mi è apparso Lui... l'Omino della Manutenzione.

Sdegnata, non sono nemmeno riuscita a finire l'articolo. All'idea che il mio adorato Cesso di Destra abbia organizzato un festino a 3 senza nemmeno avvisarmi mi ha gettata nello sconforto. Mi sono stufata di questa fissa e ho deciso: da domani esco col Cesso di Sinistra.

20 maggio 2006

Surprise surprise

Santi, ho appena finito... E voglio scappare il più veloce possibile da qui! Vieni a prendermi?

Il calo di tensione mi lascia in preda ad una voglia incontrollabile di piangere. Nelle ultime 4 ore ho fatto: lettera di motivazione in Inglese, test numerico, test logico e 50 minuti di colloquio in Spagnolo. E l'esito già lo so... L'ho capito quando ho visto la punta della matita della selezionatrice soffermarsi stizzita sul numero 28, e poi piombare secca sulle ultime righe del mio cv. Per l'età che hai, e le esperienze che tieni... Sei un po' nel mezzo rispetto a quello che cerchiamo... Troppa esperienza per un posto e troppo poca per l'altro.
Così mi ha detto, la tipa. E io, come in trance, mi sono ritrovata in Diagonal con Passeig de Gracia, immersa nel rumore del traffico, al caldo afoso di un giovedì pomeriggio senza sole.
Ok, l'ho fatto. Ho sostenuto (più o meno) il mio primo colloquio in Spagna. Ora devo scrollarmi di dosso l'insoddisfazione, i residui della tensione, i mille dubbi su cosa ho sbagliato e avrei potuto fare meglio. Devo darmi un paio di ceffoni, ricordarmi dove sono e rendermi conto che non è una visione quella che ho davanti: sono di nuovo a Barcellona!

Una maglietta verde sbuca da sotto il casco. Santi mi abbraccia, mi saluta, si fa raccontare, poi mi fa salire sul motorino e la giornata ricomincia da capo.
Sembra un sogno. L'aria calda mi accarezza amorevole mentre attraverso i viali luminosi della città, alla volta della Vìla Olimpica. Le volte che li ho percorsi a piedi, in macchina, in motorino, in autobus, le volte che sono sbucata da quella fermata della Metro, che ho notato la fiancata di quel palazzo, che ho sorriso al pezzetto di cielo che si affaccia proprio dietro quell'angolo... E le persone che mi camminavano accanto, o mi parlavano al cell, o mi aspettavano poco più in là. E le cose che avevo appena finito, o stavo facendo, o avrei fatto di lì a poco, dopo un settimana, dopo un mese. Tutto di un anno fa, in un solo respiro, un unico, pieno, forte, struggente battito del cuore. Non escono parole, non riescono parole nemmeno a formarsi nella testa. Solo emozioni mi riempono l'anima. Emozioni condensate in un unica goccia di prezioso nettare. Lacrima. Elisir di felicità.

La sabbia si lascia plasmare sotto i miei piedi senza opporre resistenza. Sento che potrei riconoscere ogni granello, uguale e diverso, di quell'estate. Sento che tutti i granelli mi accolgono in un abbraccio tiepido, e mi sanno riconoscere, uguale e diversa da quell'estate.
Santi parla, sdraiato sul lettino accanto al mio. Il cielo è di un madreperla luminoso, piatto. Talmente piatto che anche lo scroscio delle onde sulla battigia si appiattisce. E tutta la spiaggia e i suoi abitanti, e le torri dietro, le case, la Sagrada, io e Santi. Santi parla in sordina, il mare parla in sordina, io parlo in sordina. E penso in sordina chissà se ha un senso questa cosa, chissà se ha un senso il mio essere qui in questo momento, in questo momento della mia vita, della vita del mio Paese, della vita del Mondo intero.
E chissà se riesco a trovarlo il senso, in questo surreale quadretto piatto Magrittiano in cui una nuvola foffissima e silenziosa sovrasta un bicchiere di cristallo. E con gli occhi si sente l'armonia, che vibra in sordina.

La gatta nera solleva il naso umido e con gli occhi stretti stretti emette un debole miagolìo. Il profumo dei mojillones al vapore la manda in brodo di giuggiole ma non può essere troppo insistente mentre aspetta che dall'alto le arrivi un altro bocconcino. Santi le porge l'oggetto del suo desiderio.
Insomma Santi, sono un po' imbarazzata ma... questo giro di parole per dirti che mi farebbe anche piacere venire con te in albergo, a Roma. Quindi, visto che devi prenotare, fallo e poi mi dici, ok?
Silenzio. Cambio discorso. L'impressione che avevo avuto era fondata, dunque, e lui a Roma mi sa tanto che vuole provare a rimorchiare le Italiane, come ci siamo detti prima. Una sottile tensione piega l'aria, ma con un repentino gesto della mano torna come nuova. Non è il momento di pensare troppo, del resto. Le cose vanno così, vanno e vengono. E io sono allenata ormai a non fare domande. Così non sembra che io cerchi risposte. Altre parole riprendono a scorrere, la micia miagola e i turisti continuano a passare.
Michela, estòy embarassado yo tambièn... Prima non ho risposto alla tua domanda su Roma perchè... a Roma... vorrei stare con te e Claudia... Juntas.

...

Stavolta l'aria si spezza in due. E io sono proprio nel mezzo.

...

Sento che se non la faccio adesso, un'esperienza così, non la farò mai più. Solo con te ho questa confidenza... Solo con te lo potrei fare. Santi parla, e non è più in sordina. Cerco un gesto per scansare la piega ma la tovaglia non sembra più tanto nuova.
E io, stavolta, penso...

Penso Ma tu guarda!

La vita è piena di sorprese.

17 maggio 2006

Special FX

Michi, sono le 9 meno 20... Non vai al lavoro oggi?

Non apro nemmeno gli occhi, mi alzo direttamente.
Mentre scosto le coperte provo a raccogliere le idee: uno due tre prova. Ok, il mio cervello funziona ancora.
Quindi:
- si suppone che io abbia un lavoro;
- si suppone che di solito io mi alzi prima delle 9 meno 20.

Ma sono pesante... faccio fatica a mettermi seduta, ho un pugno nello stomaco, la testa non la sento proprio. Tocca aprire gli occhi per cercare degli indizi in grado di farmi capire in quale realtà sono e, soprattutto, che ruolo ho.
Apro gli occhi. O-oh... C'è una bacinella proprio accanto al letto. Inizio a ricordare qualcosa... In ordine sulla scrivania ci sono dei vestiti piegati. Sul pavimento una valigia aperta.
Quindi:
- Ieri ho bevuto, tanto;
- Ieri ho anche vomitato (non nella bacinella);
- Stasera ho il volo per Barcellona;
- Devo arrivare in Piazza Lodi entro le 9.30, altrimento perdo la navetta.

Nel frattempo ho rifatto il letto (eggià, le incombenze del vivere con mia zia...).
In bagno mi lavo i denti cercando di recuperare la funzionalità della mia lingua felpata, ancora impregnata di Gin Lemon.
Quindi:
- Ieri non avevano il Bombay;
- Non dev'essermi suonata la sveglia (come ieri, che mi sono tirata su alle 9.15 e ho dovuto chiamare il mio capo per avvisare che facevo tardi? Circostanza sospetta).

Mi lavo frettolosamente la faccia e lo sguardo rimbalza sullo specchio, sull'immagine della mia faccia, riflessa. Nello sdoppiamento ha perso colorito, tono, e una piega decente. Ma non il trucco, rimasto sorprendentemente intatto dalla sera precedente. Aggiudicato: trucco, sei stato promosso; ti riciclo così come sei anche per oggi.
M'infilo i vestiti che mi sono preparata ieri sera e ringrazio di essere così diligente. Capita molto raramente, per fortuna è capitato oggi. Ma non trovo la biancheria di ieri sera, che sono certa di aver riportato a casa (ancora addosso).
Quindi:
- Ieri non mi sono trombata Filippo Nardi.

Filippo Nardi. Quel gran pezzo di uno gnocco di Filippo Nardi. Sapevo fosse nel privé, dove avrei chiesto alla Jena di farmi fare un giro. Invece poi è semplicemente comparso lì, accanto a me. Mi sono girata, l'ho visto, mi sono rigirata, l'ho riguardato per fargli capire che sì, l'avevo riconosciuto e anche particolarmente apprezzato nella versione dal vivo... La Sister mi ha detto che anche lui sembrava aver apprezzato (ma la Sister dice tante cose! Tipo che ieri la sveglia sul cell me l'ha messa lei. Mah.). Dopo un po' gli ripasso accanto mentre parla con mille persone e non mi caga. Ma la terza volta mi vede e mi saluta. Ciao! rispondo io. Pochi minuti e sono lì con la mia bella sigarettina a dirgli Scusa, dovrei accendere. E sono sicura che tu mi puoi aiutare... Mentre tira fuori lo Zippo dice Presentati! E ci diamo la mano. Il siparietto continua con le presentazioni dei suoi due accompagnatori: Lei è la mia fidanzata e lui il suo ex, ma è successo tutto negli ultimi 5 minuti. Ottimo! rispondo io, vuol dire che nei prossimi 5 può cambiare tutto di nuovo... Fine del siparietto. Sniff Sniff.

Del resto che il Conte facesse un tantino di fatica a focalizzarsi su di me è comprensibile, visto che il locale pullulava di distrazioni al di sopra del metro e 80 impegnate ad impersonare tutti i cliché delle fantasie maschili. C'erano donne in magliettine strizzatissime dietro al bancone, donne in bikini sul cubo, donne in tutina di lattice chiuse in vetrina, donne in shorts che lavavano una macchina (tutta la sera la stessa macchina), donne vestite da uomo (truzzo, che va in giro con la camicia aperta e chiaramente non porta il reggiseno) al tavolo della roulette. Più open bar, "sala gioco" con tanto di calcetto pista della macchinine Subbuteo e chi più ne a più ne metta, C. o. c. c. o. in consolle e una serie di volti più o meno noti del piccolo schermo in libera uscita.

E per colpa di tutto questo io oggi sono arrivata al lavoro ubriaca...

E' un mondo difficile.

13 maggio 2006

Al cardiopalma

Giovedì, h18.
Saaantiiiii!!! Ho un colloquio a Barcellonaaaa!!!

Venerdì, h 11.30
Guarda, Michela, dopo questa nostra chiacchierata telefonica ti annuncio che darò parere positivo alla responsabile del personale, qui in Francia.

Venerdì, h 12.00
Buenos dìas. Volevo confermare la mia presenza alle selezioni di giovedì prossimo. Come scusi?! No... ehm... Non dovevo chiedere a mia mamma... dovevo chiedere al mio capo... un giorno libero...

Venerdì, h12.30
Come le ha anticipato il nostro responsabile vendite le annuncio che l'abbiamo selezionata per uno stage presso la nsotra sede di Montpellier. L'aspettiamo per iniziare il 22 maggio.


Dopo una giornata così non mi sembra nemmeno di aver detto una balla a chiedere al mio capo di lasciarmi giovedì libero per degli esami al cuore...

11 maggio 2006

Puff Puff...

Che fatica venerdì. E' l'1.30 di notte e sono appena entrata in casa, a Verona. Ho in mano i diplomi del master, freschi freschi di stampa e rifletto sul fato che cascano giusto a fagiuolo, visto che ho finito la carta igienica in bagno.
La casa è ancora calda della presenza di Santi. Accendo il pc e trovo, finalmente, la sua mail. E' bellissima. Parole asciutte suonano dolci sui colori delle nostre foto a Venezia, a Lazise, in questa stessa casa.
Sistemo la borsa per le immersioni di domani e m'infilo nel lettone, tra le lenzuola trovo il suo abbraccio.

Che fatica domenica. Alle 5.30 suona la sveglia. Alle 6.15 si parte per Choggia dove facciamo 2 belle e lunghe immersioni sulle tegnue. Una sorpresa, sul serio. Una sorpresa che mi aiuta ad essere serena e a non pensare alla stanchezza. Al ritorno l'ormai rituale gelato dal Lele, e poi a casa per sistemare di corsa tutta l'attrezzatura, cambiare lenzuola e asciugamani, farmi una doccia, che alle 21 arriva il torello e dobbiamo correre in centro a trovare la Sister e S3.
La serata è proprio carina. Finalmente, dopo mesi, io e il torello svuotiamo il sacco e con infinita tenerezza ci raccontiamo fatti (e soprattutto misfatti) del dietro le quinte dei nostri due mesi a Nottingham. Così lui scopre che per un po' sono uscita anche col Bisontino, che una sera ho pure incontrato il suo collega che mi ha guardato malissimo, e che alla fine ho deciso di stare solo con lui, perchè ci stavo troppo bene, solo con lui. E io scopro che la Louise di quell'unica volta che ho letto un sms dal cellulare di un uomo era una sua collega... E che lui usciva solo con me in quel periodo, perchè ci stava troppo bene, con me.
Alle 21 devo essere a Milano per un ape col tizio dell'Es di Roma. Ma alle 21 mi sono appena infilata in autodtrada e sono abbastanza in coma... Alla fine però arrivo lo stesso al locale. E ci rimbalzano... Io sto con uno che ci lavora, nei locali, e lo rimbalzano! Vabbè, andiamo in Corso Como e la serata è molto carina. La passiamo a raccontarci tutte le volte che abbiamo bevuto fino a vomitare. Ci soffermiamo sui dettagli delle vomitate, per essere più precisi. Quindi serata molto carina totalmente priva di doppi fini.

Che fatica lunedì. Il lavoro è frenetico, come accade spesso ultimamente. Arriva, come una doccia gelata, la rivelazione che il nuovo piano di marketing è passato interamente nelle mani del mio capo. Che ha troppo da fare per seguirlo sul serio. E per farlo seguire anche a me. Insomma dopo i 2 passi avanti abbiamo immancabilmente fatto i 2 indietro. Calpestando il mio barlume di entusiasmo.

Che fatica martedì. Mi chiama il Tz, alle prese con un corso di sub che sta tirando fuori ad una ad una tutte le sue ansie. Ha bisogno di parlare, ma soprattutto di capire cosa fare. Io lo ascolto e a malincuore rispondo.

Che fatica mercoledì. Anche la serata è di "lavoro". Un certo matrimonio si avvicina e bisogna organizzare un mucchio di cose...

Che fatica giovedì. Sono in giro a fare store check e sbaglio strada, imbocco lo svincolo sbagliato della tangenziale e mi trovo in direzione opposta, in coda... Esco dall'ufficio alle 19.40 e ancora "lavoro" per organizzare un certo addio al nubilato.

E in mezzo a tutto questo marasma il Xmas.
Puff Puff... Che fatica... 4 messaggi per capire se c'è ancora un buchino per me nel tuo cuore...

04 maggio 2006

Batuffoli che non si fanno mancare niente

Quindi devo raccontare il mio week-end con Santiago, o sbaglio?
Per compensare il post precedente mi farò bastare 4 righe.

Incontro alla Via col Vento in Stazione Centrale.
Carrellata di figurine degli Innamorati di Peynet nella città di Romeo e Giulietta.
Remake delle scene chiave di Laguna Blu alle terme di Villa dei Cedri.
Sketch alla Ti Presento i Miei coi parenti vicentini.
Spuntini di Chocolat agrodolce per le calli di Venezia.
Foto ricordo di Un Uomo al 1° maggio milanese.
Distacco struggente da Dottor Zivago in Cadorna.

Ops, ho sforato...

02 maggio 2006

Quello che sento, sotto il batuffolo e un po' più giù.

Barcellona, estate 2005.
Alle 2 di un venerdì notte sto ancora aspettando un taxi in Plaça Catalunya. Non è un venerdì notte qualsiasi, è il venerdì notte del Sonar. E sono in coda da almeno un'ora, con le valigie, per scoprire com'è casa mia.
Mi sento a disagio in questa città che non conosco, che mi accoglie lasciandomi sola, in coda, con queste valigie piene e un sorriso stentato che continua a farsi avanti, per ricacciare dentro un gran vuoto.

Sono le 3 quando il mio taxi si lascia alle spalle viali ariosi ed alberati per infilarsi in un viottolo in salita, stretto e buio. Ad aspettarmi, con una faccia da funerale, trovo Pedro e Stefanìa. Chissà se l'Argentino mi sarebbe piaciuto di più, penso. Il tempo di capire che la mia stanza fa proprio schifo e sono di nuovo sola.

Chiusa nel bagno, seduta su un cesso color ciclamino, fisso le piastrelle del pavimento ciclamino e chiamo. Una carezza di gelido silenzio mi ammutolisce. Non c'è più niente da dire, ormai siamo lontani.

E stretta in quelle pareti ciclamino soffoco.

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Barcellona, estate 2005.
Alle 2 di un martedì notte sto scrivendo una mail sdraiata sul mio letto. Non è una mail qualsiasi, è l'ultima mail da Barcellona. Le mie valigie, piene, aspettano l'ora della partenza sul pavimento della stanza. E' luminosa, adesso. Ha il mio odore e non puzza più di piscio di gatto.
Alla fine questa città mi è piaciuta, penso. Mi è piaciuta al punto che un pezzetto me lo porterò via con me.

E un sorriso malinconico e dolce mi fa compagnia mentre aspetto che rientri Santi. Stasera non ci siamo visti, non ci siamo nemmeno messi d'accordo. Ma io lo so che lo posso aspettare.

Chiudo gli occhi, e sento.

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Sento il mio primo lunedì a Barcellona. Lui si è fatto tutto il Sonar... Si è fatto di tutto al Sonar.
Esco dalla mia stanza, imbocco il corridoio per andare in cucina. Eccolo, finalmente. Imbocca il corridoio dall'altra parte. Allora è lui l'Argentino...
Lo spazio si contrae, il tempo si dilata. Siamo vicinissimi, ci veniamo incontro come immobili. Lo sguardo pesante non lascia scampo ad alcun dettaglio. Gli occhi, penetranti, sfacciati, fissati su di noi. E poi spinti giù, lungo la curva del collo, liscio. Lo spigolo delle spalle, il petto, le mani che ciondolano lungo i fianchi. Belle. Impercettibilmente tese nell'ondeggiare del passo spavaldo. Le gambe. I piedi... E poi di nuovo gli occhi.
Hola, soy Santiago.
La voce. La mano... la pelle... E poi di nuovo gli occhi.

Sento la sera di San Joan. L'alcol scorre a fiumi. Fiumi d'alcol che scorrono dritti verso il mare. Sulla spiaggia è impossibile camminare. Mi ha invitata a raggiungere il suo gruppo di amici argentini. A Barcellona uscire con un gruppo di Argentini è raro. E' invidiabile. Io e Ba vaghiamo per la spiaggia bevute, fumate. Cerchiamo. Il telefono come sola guida, un dizionario tascabile che si àncora all'ultimo barlume di ragione per suggerire sempre la stessa frase: Tengo el mar en fruente, la playa detràs, a la derecha el moelle, y a la isquierda la tor! Ma l'alcol volatilizza in fretta la notte e il fumo di un falò oscura la nostra stella.
Alle 6 la spiaggia è ormai vuota. Mi trova. Si siede accanto e ci prova. Maldestro. Non così... Così no, dai.
E la visione di questa notte si appanna dietro palpebre incollate. Poche parole restano impastate sulla lingua.

Sento la città che piano piano mi entra dentro. E intanto i giorni passano, le settimane corrono dietro al primo mese. Quando io mi alzo per andare in università lui lavora, quando rientro lui è fuori, quando esco io lui dorme.
Michi, ma fatti Santi! Lui sì che è un uomo! Provaci, vedrai che ci sta! continuano a ripetermi.
Lo so anche io che ci sta. Non vi preoccupate, quando dovrà succedere succederà.

Sento una casa spenta che piano piano inizia a respirare.
Hola Miquela. Que bien sin la pareja, no te parece? Tan aburridos!
Santi, per fortuna che la pensi come me! Ora che siamo solo noi... potremmo anche cenare assieme qualche volta, non trovi?

Sento il suo respiro iniziare a seguire il mio. Perchè in quella casa ci sono finalmente Io.
Con la mia fissa di salutarsi sempre, il mio impegno per scardinare i rigidi spazi assegnati in frigo, le lavatrici miste, la biancheria messa a stendere anche se è degli altri, le cene tutti assieme, gli amici, tanti amici, passati di lì.

Sento i giorni di Clo. La sera di agosto che siamo tornate da Sitges e Carmen aveva organizzato una cena argentina. E' lei che chiamava suo figlio Santi. Si ricordava che saremmo tornate quel giorno e ci ha aspettate per cenare assieme. Anche lei è come noi.
Mangiamo empanadas in terrazza. Pablo suona la chitarra e canta. Le fiammelle delle candele tremano mentre Pablo strimpella e forza quella sua voce poco educata a seguire le note. Le fiammelle delle candele tremano per farsi più piccole mentre la sua voce vibra del fuoco che sembra bruciargli dentro... E' il Fuoco che arriva dalla terra d'Argento, Fuoco Argentino.
Io e Clo sparecchiamo e dalla camera di Santi si sente il cell che suona. Sullo schermo c'è la foto di una ragazza. Santi, guarda che hai il cell che suona. Dejalo, no me importa! Ma quello risuona, lui risponde, e arriva questa tipa. Questa tipa argentina che suona benissimo, canta benissimo, e parla velocissima senza curarsi di chi si deve sforzare per starle dietro.
Laviamo i piatti. Il lavello di destra a me, quello di sinistra a Santi. Che brava la TUA amica dico, senza distogliere lo sguardo da quello che sto facendo. No es MI amiga, es amiga de Pablo dice, senza distogliere lo sguardo da quello che sta facendo.
Restiamo in 3 distesi sulla sabbia. Parliamo di sesso. Parliamo di sesso e lo vorremmo fare. Tutti e 3. Questa notte. Finchè non decidiamo di rientrare. Come l'altra volta Santi mi fa presente che ha un posto in motorino. Solo che stavolta c'è da decidere chi lo occuperà.
Grazie Clo, di avermelo lasciato. Grazie di avermi lasciato stringere alla sua schiena, avvolgere i suoi fianchi con le braccia allacciando le dita delle mani proprio sopra i bottoni della camicia. Con il mento appoggiato alla sua spalla sento il calore del suo corpo attraverso la stoffa. E nel cielo limpido della notte di Barcellona mi appare per la prima volta lo spettro amico della Sagrada Familia...
Questa è la notte in cui lo abbiamo fatto. Sul letto della pareja aburrida.
Poi non ci siamo più visti per giorni interi.

Sento le parole di Pablo.
Santi es un buen rragaso. Molto tranchillo. Però sci sono dele ocassioni dove si lassia andare proprio. Mi desplace che non hai avuto la fortuna di conosèrlo in queste.
?!?
Ah, allora lo hai conossiuto!

Sento l'incombere della partenza. Gli ultimi giorni sospesi nel limbo dell'ospedale, con Omar da "accudire" mentre Ba si fa curare. E nonostante tutto Santi.
Sei fortunato, lo sai? Perchè io tra una settimana me ne vado, non ho niente da perdere, e tu riuscirai a conoscermi davvero per come sono...
E così è stato. Così è stato durante la nostra passeggiata alla Fiesta de Gracia, il giorno che mi ha portato a San Paul e c'era tempesta, quando è venuto a prendermi all'uscita dell'ospedale per visitare il Palau della Musica con S3 e poi mi ha portata alla Ciutadella, ha steso il pareo nero sull'erba e, come sempre, ha tirato fuori il mate. E mi ha fatto vedere dove ballavano il tango argentino, che quando ho iniziato a sentire la musica già si capiva che era una vecchia radio ma non immaginavo il gazebo così, all'aperto... Parece Buenos Aires ha detto.
E' stato così anche questo pomeriggio, quando mi ha raggiunta alla Vìla Olìmpica per raccogliere la sabbia.

******************

E' stato così in tutte le nostre lunghe passeggiate silenziose, attraverso questa città che ha tirato fuori il meglio di me. Quando il contatto di una mano era più rassicurante, e le parole avrebbero rischiato di ricordarci che erano gli ultimi giorni. Allora meglio non usarle. Meglio chiudere gli occhi. Chiudere gli occhi e sentire.
Perchè come li riapro vedo che sono stati gli ultimi giorni. E che sono già finiti, gli ultimi giorni. Gli ultimi giorni di questa cosa che non è neanche iniziata, ma subito esplosa. Questa cosa che ti ha fatto dire che da quando sono arrivata la casa ha iniziato a vivere. E poi che sì, bello conoscermi, ma alla fine io me ne vado lo stesso. Questa cosa che ti ha fatto dire che non avremmo mai dormito assieme nello stesso letto. E che questa sera ti ha tenuto lontano. Così speri di non esserti illuso, di non averci sperato davvero, di non starci male...

Ma io ti sto aspettando, Santi. Ti sto aspettando. Anche se questa è una despedida, io ti aspetto.
Per vederti ancora, parlarti ancora. Per chiudere gli occhi ancora una volta assieme a te, e sentire.

Sento come se avessi un batuffolo di cotone incastrato in gola.

Ma un po' più giù. Dove si inizia a sentire il battito del cuore.