02 maggio 2006

Quello che sento, sotto il batuffolo e un po' più giù.

Barcellona, estate 2005.
Alle 2 di un venerdì notte sto ancora aspettando un taxi in Plaça Catalunya. Non è un venerdì notte qualsiasi, è il venerdì notte del Sonar. E sono in coda da almeno un'ora, con le valigie, per scoprire com'è casa mia.
Mi sento a disagio in questa città che non conosco, che mi accoglie lasciandomi sola, in coda, con queste valigie piene e un sorriso stentato che continua a farsi avanti, per ricacciare dentro un gran vuoto.

Sono le 3 quando il mio taxi si lascia alle spalle viali ariosi ed alberati per infilarsi in un viottolo in salita, stretto e buio. Ad aspettarmi, con una faccia da funerale, trovo Pedro e Stefanìa. Chissà se l'Argentino mi sarebbe piaciuto di più, penso. Il tempo di capire che la mia stanza fa proprio schifo e sono di nuovo sola.

Chiusa nel bagno, seduta su un cesso color ciclamino, fisso le piastrelle del pavimento ciclamino e chiamo. Una carezza di gelido silenzio mi ammutolisce. Non c'è più niente da dire, ormai siamo lontani.

E stretta in quelle pareti ciclamino soffoco.

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Barcellona, estate 2005.
Alle 2 di un martedì notte sto scrivendo una mail sdraiata sul mio letto. Non è una mail qualsiasi, è l'ultima mail da Barcellona. Le mie valigie, piene, aspettano l'ora della partenza sul pavimento della stanza. E' luminosa, adesso. Ha il mio odore e non puzza più di piscio di gatto.
Alla fine questa città mi è piaciuta, penso. Mi è piaciuta al punto che un pezzetto me lo porterò via con me.

E un sorriso malinconico e dolce mi fa compagnia mentre aspetto che rientri Santi. Stasera non ci siamo visti, non ci siamo nemmeno messi d'accordo. Ma io lo so che lo posso aspettare.

Chiudo gli occhi, e sento.

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Sento il mio primo lunedì a Barcellona. Lui si è fatto tutto il Sonar... Si è fatto di tutto al Sonar.
Esco dalla mia stanza, imbocco il corridoio per andare in cucina. Eccolo, finalmente. Imbocca il corridoio dall'altra parte. Allora è lui l'Argentino...
Lo spazio si contrae, il tempo si dilata. Siamo vicinissimi, ci veniamo incontro come immobili. Lo sguardo pesante non lascia scampo ad alcun dettaglio. Gli occhi, penetranti, sfacciati, fissati su di noi. E poi spinti giù, lungo la curva del collo, liscio. Lo spigolo delle spalle, il petto, le mani che ciondolano lungo i fianchi. Belle. Impercettibilmente tese nell'ondeggiare del passo spavaldo. Le gambe. I piedi... E poi di nuovo gli occhi.
Hola, soy Santiago.
La voce. La mano... la pelle... E poi di nuovo gli occhi.

Sento la sera di San Joan. L'alcol scorre a fiumi. Fiumi d'alcol che scorrono dritti verso il mare. Sulla spiaggia è impossibile camminare. Mi ha invitata a raggiungere il suo gruppo di amici argentini. A Barcellona uscire con un gruppo di Argentini è raro. E' invidiabile. Io e Ba vaghiamo per la spiaggia bevute, fumate. Cerchiamo. Il telefono come sola guida, un dizionario tascabile che si àncora all'ultimo barlume di ragione per suggerire sempre la stessa frase: Tengo el mar en fruente, la playa detràs, a la derecha el moelle, y a la isquierda la tor! Ma l'alcol volatilizza in fretta la notte e il fumo di un falò oscura la nostra stella.
Alle 6 la spiaggia è ormai vuota. Mi trova. Si siede accanto e ci prova. Maldestro. Non così... Così no, dai.
E la visione di questa notte si appanna dietro palpebre incollate. Poche parole restano impastate sulla lingua.

Sento la città che piano piano mi entra dentro. E intanto i giorni passano, le settimane corrono dietro al primo mese. Quando io mi alzo per andare in università lui lavora, quando rientro lui è fuori, quando esco io lui dorme.
Michi, ma fatti Santi! Lui sì che è un uomo! Provaci, vedrai che ci sta! continuano a ripetermi.
Lo so anche io che ci sta. Non vi preoccupate, quando dovrà succedere succederà.

Sento una casa spenta che piano piano inizia a respirare.
Hola Miquela. Que bien sin la pareja, no te parece? Tan aburridos!
Santi, per fortuna che la pensi come me! Ora che siamo solo noi... potremmo anche cenare assieme qualche volta, non trovi?

Sento il suo respiro iniziare a seguire il mio. Perchè in quella casa ci sono finalmente Io.
Con la mia fissa di salutarsi sempre, il mio impegno per scardinare i rigidi spazi assegnati in frigo, le lavatrici miste, la biancheria messa a stendere anche se è degli altri, le cene tutti assieme, gli amici, tanti amici, passati di lì.

Sento i giorni di Clo. La sera di agosto che siamo tornate da Sitges e Carmen aveva organizzato una cena argentina. E' lei che chiamava suo figlio Santi. Si ricordava che saremmo tornate quel giorno e ci ha aspettate per cenare assieme. Anche lei è come noi.
Mangiamo empanadas in terrazza. Pablo suona la chitarra e canta. Le fiammelle delle candele tremano mentre Pablo strimpella e forza quella sua voce poco educata a seguire le note. Le fiammelle delle candele tremano per farsi più piccole mentre la sua voce vibra del fuoco che sembra bruciargli dentro... E' il Fuoco che arriva dalla terra d'Argento, Fuoco Argentino.
Io e Clo sparecchiamo e dalla camera di Santi si sente il cell che suona. Sullo schermo c'è la foto di una ragazza. Santi, guarda che hai il cell che suona. Dejalo, no me importa! Ma quello risuona, lui risponde, e arriva questa tipa. Questa tipa argentina che suona benissimo, canta benissimo, e parla velocissima senza curarsi di chi si deve sforzare per starle dietro.
Laviamo i piatti. Il lavello di destra a me, quello di sinistra a Santi. Che brava la TUA amica dico, senza distogliere lo sguardo da quello che sto facendo. No es MI amiga, es amiga de Pablo dice, senza distogliere lo sguardo da quello che sta facendo.
Restiamo in 3 distesi sulla sabbia. Parliamo di sesso. Parliamo di sesso e lo vorremmo fare. Tutti e 3. Questa notte. Finchè non decidiamo di rientrare. Come l'altra volta Santi mi fa presente che ha un posto in motorino. Solo che stavolta c'è da decidere chi lo occuperà.
Grazie Clo, di avermelo lasciato. Grazie di avermi lasciato stringere alla sua schiena, avvolgere i suoi fianchi con le braccia allacciando le dita delle mani proprio sopra i bottoni della camicia. Con il mento appoggiato alla sua spalla sento il calore del suo corpo attraverso la stoffa. E nel cielo limpido della notte di Barcellona mi appare per la prima volta lo spettro amico della Sagrada Familia...
Questa è la notte in cui lo abbiamo fatto. Sul letto della pareja aburrida.
Poi non ci siamo più visti per giorni interi.

Sento le parole di Pablo.
Santi es un buen rragaso. Molto tranchillo. Però sci sono dele ocassioni dove si lassia andare proprio. Mi desplace che non hai avuto la fortuna di conosèrlo in queste.
?!?
Ah, allora lo hai conossiuto!

Sento l'incombere della partenza. Gli ultimi giorni sospesi nel limbo dell'ospedale, con Omar da "accudire" mentre Ba si fa curare. E nonostante tutto Santi.
Sei fortunato, lo sai? Perchè io tra una settimana me ne vado, non ho niente da perdere, e tu riuscirai a conoscermi davvero per come sono...
E così è stato. Così è stato durante la nostra passeggiata alla Fiesta de Gracia, il giorno che mi ha portato a San Paul e c'era tempesta, quando è venuto a prendermi all'uscita dell'ospedale per visitare il Palau della Musica con S3 e poi mi ha portata alla Ciutadella, ha steso il pareo nero sull'erba e, come sempre, ha tirato fuori il mate. E mi ha fatto vedere dove ballavano il tango argentino, che quando ho iniziato a sentire la musica già si capiva che era una vecchia radio ma non immaginavo il gazebo così, all'aperto... Parece Buenos Aires ha detto.
E' stato così anche questo pomeriggio, quando mi ha raggiunta alla Vìla Olìmpica per raccogliere la sabbia.

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E' stato così in tutte le nostre lunghe passeggiate silenziose, attraverso questa città che ha tirato fuori il meglio di me. Quando il contatto di una mano era più rassicurante, e le parole avrebbero rischiato di ricordarci che erano gli ultimi giorni. Allora meglio non usarle. Meglio chiudere gli occhi. Chiudere gli occhi e sentire.
Perchè come li riapro vedo che sono stati gli ultimi giorni. E che sono già finiti, gli ultimi giorni. Gli ultimi giorni di questa cosa che non è neanche iniziata, ma subito esplosa. Questa cosa che ti ha fatto dire che da quando sono arrivata la casa ha iniziato a vivere. E poi che sì, bello conoscermi, ma alla fine io me ne vado lo stesso. Questa cosa che ti ha fatto dire che non avremmo mai dormito assieme nello stesso letto. E che questa sera ti ha tenuto lontano. Così speri di non esserti illuso, di non averci sperato davvero, di non starci male...

Ma io ti sto aspettando, Santi. Ti sto aspettando. Anche se questa è una despedida, io ti aspetto.
Per vederti ancora, parlarti ancora. Per chiudere gli occhi ancora una volta assieme a te, e sentire.

6 commenti:

L'Arrotino ha detto...

Emozionante.

Anonimo ha detto...

Ebbene sì, ce l'ho fatta chat... ho letto tutto! bello.
In merito qualche perla di saggezza (non mia ovviamente) te l'ho già data. Di più sinceramente non so dire.
Un beso

Michela ha detto...

Yà està. Un beso. E niente più.

Anonimo ha detto...

Se mi permetti una piccola presunzione: come ti capisco io,nessuno. Un bacio, Lemny

L'Arrotino ha detto...

Ciao super michi!!!

Anonimo ha detto...

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