19 agosto 2009

Dal tramonto all'alba (e poi di nuovo)

"E ora che facciamo? Andiamo al mare?" BUM! Esplodo di gioia.

Lungo la strada chiudo gli occhi e mi appoggio alla sua schiena grande. Non penso a niente in particolare, sto semplicemente bene. Benissimo. Riapro gli occhi un attimo per guardare avanti, e una stella cadente mi dice che è tutto ok. La vede anche lui, proprio lì di fronte, proprio dopo che ci siamo detti che quest'anno non ne abbiamo viste.
Alle 5 affondiamo in due krapfen appena sfornati accompagnati dal cappuccino di un distributore automatico. Attorno ragazzini e ragazzetti in condizioni più o meno pietose, appena usciti dalle discoteche di Jesolo. Arriviamo in spiaggia giusto per vedere l'alba, una strana alba rossa screziata di fumo nero. Ci dev'essere stato un incendio non da poco qui nei paraggi. Fuoco, cammina con noi...
"Ora andiamo a casa, ci chiudiamo dentro, e facciamo tutto quello che vogliamo tutto il giorno...". Chiedo una sigaretta. Così almeno il mio sì non arriva immediato... Anzi, provo anche a proporre di restare lì, che il costume ce l'abbiamo già addosso, che così facciamo il bagno, ma evidentemente non sono per nulla convincente. Due ore più tardi siamo in una casetta splendida, affacciata sul Lago di Garda, in una contrada con i campanacci delle mucche che addolciscono il silenzio e l'aria fresca della montagna. Un posto dove il verde è un verde acceso e l'azzurro è un azzurro intenso e il giallo del sole è un giallo più luminoso.

Rimaniamo lì fino a sera. Per 9 ore l'universo è chiuso in quello scrigno di pietra con gli scuri in legno, una scala di acciaio scuro che unisce due piani e il piccolo soppalco sopra la nostra testa. Ogni volta che riapro gli occhi noto un dettaglio in più: la finestra allungata con l'architrave arrotondato segnato da mattoni rossicci, il bianco delle pareti che a ridosso del soffitto diventa grigio, i comodini con il vetro sopra, le lampade etniche sui comodini, un neon che ancora penzola dai fili elettrici in attesa di trovare un lampadario. E la porta del bagno, interamente rivestito di marmo, con la doccia dove le sue mani, belle mani, hanno insaponato con delicatezza ogni centimetro della mia pelle. Finchè quello scrigno, quel letto, quella stanza li posso immaginare anche senza bisogno di riaprire gli occhi.

Alle 18.30 usciamo. Improvvisamente ci ricordiamo di avere sete, fame, di dover fare pipì, di rispondere al cellulare, tenuto acceso solo per seguire quasi in diretta l'arrivo della mia nuova nipotina già che nel frattempo sono diventata zia.
Così arriviamo sotto casa mia. E lui sale. E va via solo dopo mezzanotte, dopo aver fatto ancora l'amore. Di nuovo.

E' così che si chiude il Ferragosto più bello della mia vita. E anche il suo.

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