03 luglio 2009

Senza fine

Oggi si conclude la seconda parentesi belga dei miei.

Sono partiti da poco, dopo la mattina dell'ultimo giorno di scuola passata a salutare.
Ciao. Ci rivediamo. Scriviamoci. In bocca al lupo. Guarda che ti vengo a trovare. Allora organizziamo di andare da Menchu a Tenerife. Ricordati che la Patagonia ci aspetta. Tanto a dicembre sono di nuovo qui in vacanza.

Tante volte ho lasciato un posto. Tante volte ho detto addio. Tante volte ho voltato pagina. Fisicamente intendo. Geograficamente.
Abbandonare un luogo della mente non è da meno, ma abbandonare anche un luogo fisico è un'esperienza totalizzante dalla quale non si può sfuggire.

Io ho chiaro davanti agli occhi il finestrino posteriore di destra della Lancia Dedra bordeaux che mi ha portato via da lì, da SHAPE. Era il primo settembre. Presto, molto presto. L'aria era fitta di gioccioline di umidità e il sole stentava a trovare la via nella coltre grigia che chiudeva il cielo. Ma tutto sommato faceva caldo. Ricordo il terreno piatto che scorreva oltre il vetro, tante tinte di verde, le betulle, le casette verticali finte, quelle senza grondaie nè tettoie nè persiane nè recinti nè bidè.

Ricordo anche perfettamente com'ero vestita: bermuda (no, non sta succedendo ancora...) e dico bermuda bianchi con fantasia floreale nera (aaaargh!), camicia senza maniche nera, scarpe da ginnastica di tela violette con calzettino di spugna bianco in vista (Bastaaa! Mettete fine al mio delirio!). La sorte si accanì su di me quella volta perchè causa ritardi nell'arrivo dei traslocatori fui costretta a girare in questo stato per la fighetta città di Verona per ben 3 GIORNI, e per di più con 30 gradi all'ombra. Mi chiedo ancora come è potuto succedere che gli autoctoni mi rivolgessero la parola.

E poi le Alpi. Le Alpi si riconoscono subito, dopo 10 ore di macchina attraversando l'Europa da Nord a Sud. Si riconoscono anche rispetto alle altre montagne. Per me erano casa. Segnavano l'arrivo in Italia, la fine di un lungo viaggio, il ritorno. Quel giorno erano più alte, più maestose, più scavate del solito.
Avevo chiara che una parte importante della mia vita stava finendo ma sapevo che me la sarei portata con me per sempre. Un po' come i bermuda bianchi a fantasia floreale nera.

I miei dubbi erano gli stessi di adesso: come faccio. Come faccio a raccontare, a far capire, a condividere con chi non c'era e non ha visto e non può sapere?
Non ricordo se ho pianto. Ho il dubbio di non averlo veramente fatto. Ho imparato lì lo spirito di accettazione, il quieto fatalismo, la fiducia verso quello che deve venire. Ho conosciuto lì la nostalgia che costantemente mi accompagna.

E mi strugge il cuore, ora come allora, per l'ennesima fine. E' la pienezza delle cose belle legate a quel luogo ad appesantire il cuore, è il pensiero della gioia che ci ha regalato, delle persone che ci ha fatto scoprire, di quei noi stessi che avevamo imparato a conoscere così. Mentre ora, altrove, diventeranno inevitabilmente altri.

E tutto ricomincia. Altro giro, altro regalo. Con il conforto di sapere che almeno avremo una chance per riscattarci da quegli assurdi bermuda bianchi con fantasia floreale nera.

1 commento:

Clo ha detto...

io mi ricordo benissimo di aver pianto, eccome...piansi come una disperata per metà del lungo viaggio tutta-una-tirata Belgio/Roma. Ed era il 1°luglio... presto, troppo presto...